6 giugno 2016
La leva fiscale (e contrattuale) per l’implementazione dei piani di Welfare
C’era una volta Adriano Olivetti, un imprenditore “illuminato” che ha svolto un importante ruolo per le discipline giuridiche e organizzative in materia di lavoro, così come nel campo della psicologia del lavoro emergendo ed imponendosi come una delle più importanti personalità del ‘900 e non solo nel campo dell’economia e del diritto d’impresa.
Ma quale era lo spirito di fondo della maggior parte delle iniziative e dei progetti di Olivetti? Un’impostazione illuminata sì, ma pur sempre espressione di un approccio di tipo “paternalistico” all’organizzazione del lavoro e, in quanto tale, frutto di un’economia, quella del secolo scorso caratterizzata da una forte impronta fordista. Egli tuttavia, pur nel contesto di un’impresa di stampo fordista si è imposto proprio per la lungimiranza delle sue vedute e per lo sforzo di conciliare modernizzazione e valori, come si legge nel discorso – “Olivetti ai lavoratori” Ivrea/Roma, 2012, già da me citato in un altro post.
Sforzo che impegna tutt’ora gli interpreti e che fa da sfondo ai progetti di welfare.
Come è noto, il fondamentale “motore” per l’avvio, la sperimentazione e l’implementazione di progetti di welfare è stato in questi ultimi anni il nuovo e turbolento contesto sociale nel quale le imprese si sono trovate ad operare: l’arretramento dello Stato Sociale e il superamento – necessario e necessitato – di un modello di Welfare State che risulta ormai insufficiente per la maggior parte dei Paesi europei – nella sua struttura di base fondata su Pensioni e Sistema Sanitario –, unitamente all’incremento dei bisogni degli individui in termini di cure parentali, assistenza domiciliare e servizi al cittadino, così come sul fronte degli strumenti di conciliazione vita-lavoro a disposizione, hanno creato le premesse per l’avvio di progetti pur sempre caratterizzati, nella loro struttura portante, dall’iniziativa dell’impresa e, in definitiva da un’impostazione di tipo paternalistico.
Progetti che, partiti magari in sordina, attraverso la sperimentazione di misure circoscritte e limitate (come ad esempio i Buoni per la spesa oppure gli Asili nido) si sono poi allargati fino a ricomprendere panel di servizi sempre più strutturati e sofisticati. Servizi forniti direttamente dall’azienda sotto forma di flexible benefits, caratterizzati dalla volontarietà dell’erogazione, da una impostazione di tipo “retributivo” – perché agganciati a politiche di rewarding – e, quindi da una forte impronta aziendalistica e datoriale, necessitata anche dai limitati spazi di manovra delle disposizioni di legge applicabili alla materia.
La legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) ha da questo punto di vista aperto due diversi fronti di intervento:
- uno caratterizzato delle importanti novità contenute nell’art. 51, comma 2 lettera f) del TUIR, anche in collegamento con l’art. 100 del TUIR;
- l’altro caratterizzato, come già segnalato in un recente post, dalla tassazione agevolata dei premi di cui al D.M. 29 aprile 2016 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 maggio scorso e ora in vigore.